Hermann Bhul, l'uomo dell'avventrura, l'uomo del Nanga Parabat

Hermann Bhul
Hermann Bhul

Hermann Buhl è uno dei più famosi alpinisti austriaci del dopoguerra; divenne noto per le sue ascensioni invernali (prima della via Soldà alla parete Sudovest di Punta Penia, (Marmolada) con Kuno Reiner) e per le difficili scalate in solitaria (via Fox-Stenico alla Cima d’Ambiez).

Arrampicò nelle Dolomiti nei primi anni Cinquanta, aprendo fra l’altro, nel 1950, una via sulla parete Ovest della Cima Canali (Pale di San Martino) e, nel 1954, una sulla parete Sud del Piz Ciavazes (Gruppo del Sella).

Hermann Buhl fu uno dei precursori dello «stile leggero» delle spedizioni himalayane.

Nel 1953 raggiunse la cima del Nanga Parbat da solo in prima ascensione e nel 1957, con Kurt Diemberger, toccò la cima di un altro ottomila, il Broad Peak.

Morì per il crollo di una cornice mentre scendeva nella nebbia dal Chogolisa.

Parlare di Hermann Buhl richiederebbe molto più spazio di quanto ci sia concesso.

Egli è uno di quei personaggi che ormai fanno parte della leggenda.

Poverissimo, fin da ragazzino aveva scelto l’arrampicata e l’alpinismo come modo di vivere e rapidamente si era imposto negli ambienti alpinistici austriaci come uno dei migliori arrampicatori.

Fisicamente non molto dotato, ma forte di una volontà degna di un Heckmair, Buhl seppe dar prova durante la sua carriera alpinistica di una tenacia, di una coerenza, di una fede e di una determinazione che lo pongono ad essere considerato come uno dei personaggi più significativi di tutta la storia dell’alpinismo.

Egli non fu mai un professionista e nemmeno usò le sue imprese a fini commerciali.

Piuttosto fu sempre una specie di “bohémien”, sempre in bolletta, sempre alla ricerca di qualche lavoro provvisorio con cui tirare avanti.

La figura di Buhl ha tutta una sua carica umana, che a volte rasenta la commozione.

Buhl fu un alpinista completo: amava tanto l’arrampicata su roccia quanto quella su ghiaccio, tanto le ascensioni invernali, quanto quelle solitarie.

Infatti praticamente effettuò la ripetizione di tutte le grandi vie aperte sulle Dolomiti e sulle Alpi Occidentali prima e dopo la guerra.

Il suo stile fantastico gli permetteva di passare in tempi incredibilmente veloci e di salire a volte in arrampicata libera dove altri erano passati in artificiale!

Non era contrario ai mezzi artificiali, ma dava però all’arrampicata libera il ruolo preponderante e si sforzava di ridurre al minimo l’uso dei chiodi.

Buhl era l’uomo dell’avventura.

Con ingenuità quasi infantile seguì sempre il filone dell’avventura e sempre si tenne lontano da tutti gli armeggi volti a legare l’alpinismo agli interessi commerciali.

E’ il Buhl che se ne parte da Landeck in sella alla sua bicicletta e pedala fino a Bondo, dopo aver doppiato il Passo del Maloja! Poi se ne sale tutto solo fin sotto la parete Nord-Est del Pizzo Badile e tutto solo in cinque ore compie la salita della via Cassin destando l’incredulità e l’entusiasmo di alcuni alpinisti italiani incontrati sulla vetta.Questi lo vogliono trasportare a Lecco, quasi in trionfo, per festeggiarlo. Ma lui non può, per motivi di lavoro. Allora tutto solo se ne discende per lo Spigolo Nord, poi ancora a Bondo, dove riprende la bicicletta e ricomincia a pedalare per raggiungere Landeck, in Tirolo, e per ritrovarsi a bagno in un torrente, vinto dal sonno e dalla fatica.

E’ il Buhl, che come rapito da un raggio mistico, se ne parte ancora tutto solo dall’ultimo campo posto sulle pendici del Nanga Parbat e, tutto solo, seguendo un cammino di luce, come trascinato da un’energia invisibile, sale fino alla vetta della “montagna nuda”, senza bombole d’ossigeno, senza alcun aiuto, con un’attrezzatura da bivacco del tutto sommaria.

Ed eccolo nella discesa vagare, allucinato e sfinito, lungo le immense distese bianche, ancor vivo, uno dei pochi a cui la grande madre himalayana abbia concesso tanto.

E’ il Buhl che con le dita dei piedi amputate ritorna ad arrampicare con lo stesso entusiasmo di prima, è il Buhl che passa vittorioso da solo ed in cordata su tutte le grandi pareti alpine.

E’ il Buhl che, precorrendo i tempi e la storia, con tre soli amici se ne parte su un camion alla volta del Karakorùm per salire in stile alpino un altro ottomila, il Broad Peak.

E’ il Buhl che ancora una volta da solo si incammina alla volta della vetta, già raggiunta dagli amici, che stupefatti e commossi lo incontrano lungo la discesa. Ma dotato di una forza incrollabile, eccolo salire ancora alla vetta, con al fianco l’amico Kurt Diemberger, il quale colpito da tanta fede e tanta tenacia, decide egli stesso di ritornare in vetta per essegli accanto.

Ma poco dopo, ancora con l’amico Kurt che lo segue a pochi metri slegato, Buhl a causa del crollo di una cornice, scompare per sempre sulle pendici del Chogolisa.

Il valore di Buhl va ben oltre la prestazione tecnica delle sue realizzazioni, ma testimonia la capacità umana di lottare, di soffrire, di fronteggiare ogni tipo di ostacolo, a cominciare dalle difficoltà morali e psicologiche, sempre conservando umiltà e modestia.

Il suo nome, anche sulle Dolomiti, è legato ad imprese di polso: la prima invernale della via Soldà sulla Marmolada, la solitaria sulla parete della Cima d’Ambiez, la magnifica via aperta sulla Cima Canali nelle Pale di San Martino, capolavoro di eleganza in arrampicata libera.