Ettore Zapparoli, l'alpinista solitario

Ettore Zapparoli a destra, sulla coprtina del libro a lui dedicato
Ettore Zapparoli a destra, sulla coprtina del libro a lui dedicato

"Il solitario della parete est appare di notte, nella bufera, all'improvviso, a bussare alle porte dei bivacchi e dei rifugi, il volto ustionato da un sole feroce, talora ferito o malconcio. Di rado qualcuno lo scorge, lontano e solo, impegnato sulla cresta. E' partito nel mistero, non si sa se è tornato, o se mai ritornerà". 


Tra la fine degli anni 80 e l’inizio dei 90, mio padre mi fece scoprire la più grande parete delle alpi, la Est del Monte Rosa, un gigantesco anfiteatro ghiacciato dilaniato e sconvolto da seracchi, canaloni e ghiacciai che  pareva uscito direttamente da una cartolina spedita dall’Himalaya.

Mi diceva che la Est, più che una parete era un mondo, un pianeta dedicato all’alpinismo, ed io non potevo che essere felicissimo di scoprire quel mondo seguendo i segni dei suoi ramponi.

In quegli anni salivo canaloni e creste senza prestare particolare attenzione ai loro nomi, e alle loro storie, che per me erano utili tanto quanto potevano esserlo i nomi delle vie di Milano.

Ricordo che mio padre parlava spesso dei pionieri che avevano esplorato  e salito  per primi i budelli ghiacciati della Est, ma allora per me, contava solo salire e arrivare in vetta.

Ci sono voluti alcuni anni, prima che io cominciassi a vedere l’alpinismo sotto una luce diversa e quindi ad associare qui nomi a una storia.

Frugando in un negozio di Moena, mi cadde l’occhio su un libro, pubblicato nel 1992, proprio gli anni delle mie scorribande sulla est, il titolo la dice lunga: “Solitudine sulla  Est, Ettore Zapparoli e il Monte Rosa romantico”

Zapparoli….Zapparoli… quel nome picchiava forte per riemergere dai ricordi.  Ma Certo! Il crestone Zapparoli! Il canalone  della  solitudine… La cresta del Poeta! Di colpo quei vecchi nomi acquistano  un senso e i racconti di mio padre, ormai salito sulla montagna più alta di tutte, riaffiorarono dal passato.

Acquisto il libro e scopro un personaggio straordinario.

Ettore Zapparoli, mantovano trapiantato a Milano classe 1899, due guerre vissute da soldato, poeta, scrittore, musicista, dandy di città, alpinista.

Ed un unico amore, la Est del Rosa.

Zapparoli compare alla fine degli anni venti  a Macugnaga, ben inserito  negli ambienti intellettuali dell’epoca frequenta  le ville signorili e  presto si distingue  per  le  sue imprese alpinistiche, sempre in solitaria,  sempre  sulla Est.

Di  lui  si conoscono  delle brevissime frequentazioni dolomitiche e sul Bianco, ma è su quella enorme parete che separa l’Italia dalla Svizzera che vive il  suo  mito.

Amico Personale di Guido Rey, a cui dedica una sua via di salita, Zapparoli sembra  essere più un esploratore che un alpinista, apre  nuove vie, per altro meravigliose, ma spesso lo si  avvista vagare per la Est senza una meta  precisa.

I suoi scritti e le notizie riguardanti la sua vita ci consegnano il ritratto di un uomo che pare dannarsi  per la  ricerca di uno scopo e di una posto nella vita, o quantomeno di un sistema che renda possibile trattenere le emozioni fortissime dell’alpinismo anche quando si è lontani dalle montagne. La musica è una sua grande alleata, riesce anche a far eseguire una sua composizione all’orchestra della RAI, ma il successo non arriva.

Scrive due libri, fortemente autobiografici, “Blu Nord” e “Il silenzio ha le mani aperte”, il secondo ha un piccolo successo di pubblico e di critica.

È molto difficile trovare elementi biografici della sua vita, si sa che nell’estete del  1951, dopo una lunga assenza dalle pareti, contatta alcuni amici a Milano alla ricerca di un paio di ramponi, che non trova.

Parte comunque per Macugnaga, ci sono  alcune testimonianze, come quella del gestore del Rifugio Zamboni, che non aiutano a capire se Zapparoli trovò effettivamente l’attrezzatura che cercava.

A 51 anni, da solo, forse senza l’equipaggiamento adatto, pare intenzionato ad aprire una nuova via, una direttissima alla punta Zumstein.

Lo seguono, lo avvistano da Macugnaga con i cannocchiali, dal rifugio Zamboni, dalla Marinelli.

Nel pomeriggio del  7 agosto 1951, aggira un seracco, le nubi coprono la visuale per alcuni minuti, quando svaniscono  Ettore Zapparoli è scomparso.

Se questa fosse la storia di altri alpinisti, mi sarei dedicato ad elencare, vie nuove, prime ascensioni, tempi record e altro, ma Ettore Zapparoli non è mai stato un alpinista come gli altri.

La montagna e la pratica dell’alpinismo erano per lui uno stato mentale e forse mai si rassegnò ad una vita lontana da quelle emozioni, per questo diverse persone sostengono che quelle sua ultima, folle, visionaria salita sulla est, era un conscio suicidio o un modo per unirsi per sempre alla sua parete, e non la volontà di salire una nuova via.

Zapparoli è un maestro di stile e di vita oltre che di tecnica alpinistica, che negli anni venti comparve dal nulla nel firmamento dell’alpinismo  e allo stesso modo nel nulla sparì 30 anni dopo, lasciando davvero troppe poche tracce dietro di se.

 

Nel 2007, ormai in pieno disgelo, la montagna ha lasciato riaffiorare i suoi resti, che ora riposano nel cimitero di Macugnaga, sotto la Est del Monte Rosa, la Parete di Ettore Zapparoli, l’ultimo solitario viandante dell’alpinismo.